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Al via la riforma del Codice della Strada
L’attività di riforma del Codice della Strada si è rimessa in moto. Con il definitivo via libera al Disegno di legge varato ultimamente dal Governo si aprirà, adesso, un costruttivo confronto in Parlamento che ci auguriamo il più celere possibile. Occorre, infatti, dare un segnale forte e convincente sul delicato fronte della sicurezza stradale, funestata da troppi incidenti, spesso, con giovani vittime.
La scelta di inasprire le sanzioni per determinate violazioni come l’uso dello smartphone al volante, la guida in stato di ebbrezza e l’alta velocità esprime la ferma volontà di colpire comportamenti particolarmente diffusi e fortemente pericolosi. Ma l’auspicato effetto deterrente avrà efficacia solo nella misura in cui tali sanzioni saranno realmente applicate. Ciò significa che, parallelamente, bisogna anche rendere i controlli su strada più assidui e capillari. Obiettivo questo che, necessariamente, richiede un deciso potenziamento degli organici delle forze dell’ordine da molto tempo, ormai, ridotti al lumicino.
Particolarmente interessanti sono, poi, le novità introdotte per un uso più consapevole dei monopattini elettrici. Lungi da noi criminalizzare una moderna modalità di trasporto che garantisce spostamenti più fluidi e celeri in ambito urbano, ma porre un freno all’utilizzo disinvolto, irresponsabile e spregiudicato di questi veicoli era un atto doveroso. E bene ha fatto il Governo ad intervenire in questo ambito accogliendo alcune proposte avanzate dall’Automobile Club Napoli quali l'obbligo del casco per tutti i conducenti, anche maggiorenni, dell'assicurazione sulla responsabilità civile verso terzi e della targa. Si tratta di misure indispensabili volte a tutelare non solo l’incolumità dei fruitori di tali mezzi, ma anche la sicurezza della circolazione, facilitando i controlli delle forze dell’ordine, l’individuazione dei responsabili alla guida ed il risarcimento dei danni in caso di sinistri. Manca all’appello un’altra nostra richiesta, ovvero l'istituzione di corsi di formazione per il conseguimento di una sorta di patentino, visto che gli utilizzatori di questi veicoli, spesso, sono soggetti minorenni o, comunque, completamente ignari delle più elementari norme che regolano la circolazione stradale. La prevenzione degli incidenti, infatti, non si persegue soltanto con l’arma della repressione: non è il timore della sanzione a dover impedire l’assunzione di comportamenti a rischio, ma la effettiva consapevolezza delle loro pericolose conseguenze, sia per sé stessi che per gli altri. Peccato che nel testo del Disegno di legge gli aspetti della formazione e della sensibilizzazione degli utenti della strada non abbiano avuto grande considerazione, ma solo la previsione di una mera partecipazione a corsi di studio extracurriculari per acquisire due punti-patente in più all’atto del rilascio dell’abilitazione alla guida. Troppo poco. Evidentemente non è ancora chiaro che l’educazione stradale come materia obbligatoria d’insegnamento nelle scuole non ha funzionato. L’obiettivo era quello di contribuire a formare cittadini del futuro più corretti e responsabili, capaci di condividere, nella massima sicurezza e legalità, lo spazio in cui ci muoviamo, ovvero, la strada. Purtroppo, nonostante la buona volontà di molti dirigenti scolastici e docenti questa materia ha stentato a decollare, anche per carenza di risorse. Per renderla davvero efficace, infatti, occorre un’azione sistematica, strutturale e concreta capace di coinvolgere, annualmente, l’intera popolazione scolastica e non, semplicemente, singole classi con progetti episodici come è stato fatto sinora. A conferma che manca ancora una solida coscienza collettiva sul fenomeno della sinistrosità stradale considerato, per molti, a torto, come una conseguenza ineluttabile della motorizzazione. Non è così: queste tragedie si possono prevenire e contrastare, come dimostra il fatto che i diecimila morti registrati negli anni Settanta sono diminuiti oggi a 3.200. Bisogna capire e insegnare, con assiduità, nelle scuole, in famiglia, con l'aiuto dei mass media e dei social, che guidare è un atto di responsabilità verso sé stessi e verso gli altri. La trasgressione delle regole non comporta una semplice sanzione economica, ma il rischio di una pena ben più grave: l'invalidità permanente o la perdita della stessa vita. Senza considerare, poi, i notevoli costi sociali legati all'incidentalità, quantificabili in oltre 15 miliardi di euro all'anno che, invece, potrebbero essere utilizzati per perseguire importanti obiettivi sociali.