Rubrica
Mobilità, risorsa sociale
Pubblicato sul Corriere dell'Irpinia
Il trasporto pubblico, nelle sue varie modalità, deve rappresentare la principale risorsa di mobilità all’interno delle aree urbane dove, invece, si registra un uso frequente delle automobili a causa proprio della inaffidabilità di questo servizio. E ciò rappresenta una sconfitta sia politica che sociale. Politica, perché testimonia l’incapacità dei governi, centrali e locali, di soddisfare il sacrosanto diritto alla mobilità dei cittadini con modalità alternative al mezzo privato. Ed è una sconfitta per la collettività in quanto il ricorso smisurato alle quattro ruote produce effetti collaterali, in termini di traffico congestionato, incidentalità, inquinamento e costi sociali che ledono notevolmente la qualità della vita. Manca, cioè, una valida pianificazione di settore capace di integrare coerentemente tutte le modalità di trasporto, ivi comprese le alternative offerte dalla cosiddetta “mobilità dolce”. Spesso, purtroppo i governi locali preferiscono affrontare i problemi in via estemporanea, con interventi più d’immagine che di sostanza. Provvedimenti di facciata, improvvisati, quasi mai riconducibili, invece, ad una visione d’insieme strategica e lungimirante tesa a dare risposte concrete e puntuali ad un bisogno inalienabile, qual è appunto la mobilità.
Sicuramente, la limitata disponibilità finanziaria, complice anche i tagli alla spesa pubblica effettuati in tutti questi anni, non ha aiutato a migliorare e potenziare l’offerta di trasporto, in particolare le “vie del ferro e del mare” che sono anche a minore impatto ambientale. Tuttavia, è innegabile che le criticità in cui versano i servizi pubblici e, più in generale, il settore della mobilità sono anche, e forse soprattutto, di natura “culturale”, testimoniata da un’atavica incapacità di assolvere il più elementari dei doveri: l’ordinaria amministrazione. Si pensi a titolo d’esempio all’incapacità di riscuotere le sanzioni amministrative pecuniarie per infrazioni al Codice della Strada. Una manchevolezza che, oltre ad essere diseducativa in quanto incentiva i trasgressori a perpetrare gli illeciti a bordo dei veicoli, priva la comunità di risorse importanti per il miglioramento della vivibilità. Secondo l’articolo 208 del codice stradale, infatti, almeno il 50% dei proventi delle “multe” va destinato ad interventi atti a migliorare la circolazione e la sicurezza stradale. Non riscuotendole o, nel migliore dei casi, destinando gli introiti ad altri scopi si commette comunque un’irregolarità ai danni della collettività. Le regole devono valere per tutti. Motivo questo che sta spingendo l’ACI a promuovere, da diverso tempo ormai, un nuovo approccio alla materia fondato sul principio di responsabilità che significa, contemporaneamente, rivendicazione di inalienabili diritti, ma anche rispetto di precisi doveri verso sé stessi e verso la società, a cominciare, ovviamente, dalla pubblica amministrazione che, per prima, deve dare il buon esempio. Ma visti i risultati sin qui conseguiti, il traguardo della “mobilità responsabile” sembra ancora lontano.