Rubrica
Tante giovani vite spezzate serve la cultura delle regole
Pubblicato sul Mattino
Il dolore causato dal decesso di una persona cara è straziante e devastante. Ancor più se si stratta di una giovane vita morta a causa di un incidente stradale di cui non ha alcuna responsabilità. Il grave lutto di Giugliano, verificatosi in una lugubre notte di qualche giorno fa, lungo la statale Domitiana, merita senza dubbio rispetto per la povera piccola Michelle alla quale è stato sottratto il diritto di crescere, sognare, amare, fare progetti, avere figli, una famiglia, un lavoro, in una parola: di vivere. Né è nostra intenzione infierire sui responsabili di questa tragedia, già puniti dalla peggiore delle sanzioni che si possono infliggere ad un essere umano: la perdita del proprio figlio. Però, sarebbe un pessimo e fuorviante messaggio far credere che questa disgrazia sia frutto del caso, di un accidente. Troppe volte, per discolpare i protagonisti di un misfatto, sentiamo ripetere: “è stata una fatalità”; “è capitato, non era sua intenzione”. Già, quante volte queste giustificazioni sono state implorate persino in occasione di assurdi omicidi, come per esempio nel caso (non unico) del povero Giogiò ucciso da un colpo di rivoltella a piazza Municipio, come se andare in giro con un’arma in tasca fosse una cosa normale. Allo stesso modo non si può derubricare a disgrazia fortuita, quello che è successo a bordo della Smart dove ha perso la vita la piccola Michelle, come propenderebbe il parroco don Francesco Martino che, nella sua omelia, ha misericordiosamente cercato di sollevare l’uomo alla guida del veicolo dal peso asfissiante delle sue colpe, dicendo che “nessuno esce di casa con l’intenzione di fare un incidente”. Niente di più sbagliato del buonismo pietoso e diseducativo che giustifica, in qualche modo, l’irresponsabilità sociale di individui pericolosi per sé stessi e per gli altri. Qui ci troviamo di fronte ad una famiglia di quattro componenti, di cui due minori, che viaggiava a velocità sostenuta su un’auto abilitata a trasportare solo due persone. In pratica, gli adulti che avrebbero dovuto tutelare le due giovani vite, le hanno, invece, esposte ad un grave rischio che, puntualmente, si è verificato. L’uomo alla guida, infatti, era senza patente, la vettura non era assicurata, una ragazzina di 16 anni era collocata nel piccolo vano portabagagli della Smart e nessuno era protetto da cinture di sicurezza. Insomma, ci troviamo di fronte ad un classico caso di massima incoscienza, in cui proprio chi dovrebbe dare il buon esempio è il principale carnefice, ovvero gli adulti, i genitori incapaci di insegnare ai figli il valore delle regole ed il motivo per cui vanno rispettate, perché sono i primi ad esserne ignari. Sicuri che a loro non può accadere nulla, perché la tragedia degli incidenti e delle loro luttuose conseguenze riguarda sempre gli altri. Purtroppo, non sono pochi a pensarla così. Troppi incidenti sulle nostre strade avvengono proprio perché si sottovaluta la portata di certi comportamenti come l’alta velocità, l’uso dello smartphone durante la guida, l’assunzione di alcol e droghe prima di mettersi al volante. E non certo trasformando le città in “zone 30” o disseminando le strade di dossi che ci si può illudere di risolvere il problema. Il “marcio”, infatti, è nelle teste di chi pensa che la strada sia uno spazio libero, senza vincoli, né regole da rispettare, dove per circolare in sicurezza bastano solo le abilità tecniche di guida, ricredendosi poi (forse) quando ormai è troppo tardi, a tragedia avvenuta. Ecco perché bisogna puntare, innanzitutto, sulla cultura, sulla formazione delle nuove generazioni, sulle campagne di informazione e sensibilizzazione, su percorsi di educazione stradale che devono partire da quando inizia l’età scolare per proseguire, senza sosta, sino al termine degli studi. Solo così, forse, potremo sperare di allevare futuri utenti della strada più corretti e responsabili, insieme ad una costante attività di controllo sulle strade senza la quale chi infrange la legge continuerà sempre a farla franca, costituendo, così, una minaccia perenne per la collettività.